Dal carnevale alla quaresima, per alfin risorgere
Il Mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima, quest’anno ricorreva il 26 febbraio. Tre giorni prima, il Consiglio dei Ministri emanava il decretolegge n. 6, che sanciva la chiusura totale dei comuni con focolai attivi da coronavirus e la sospensione di ogni manifestazione ed evento nei territori di competenza. Nei giorni successivi le misure di restrizione si sono fatte progressivamente più ferree e sono state estese via via a tutta Italia. D’un colpo la frenesia che il Carnevale ben rappresenta e che era l’ormai insopportabile nota dominante delle nostre vite si è dissolta; in un fiat siamo caduti a piè pari nel girone quaresimale della riflessione e dei mea culpa. Mi è stata chiesto spesso, in questi giorni, un’opinione su quello che sta accadendo e sulle sue cause. Nel contempo mi sono state proposte molte ipotesi sulla genesi di un tale drammatico avvenimento: taluno dava la colpa di tutto alle guerre batteriologiche, qualcun altro vi scorgeva oscuri complotti internazionali, altri ancora accordi economici segreti per impadronirsi delle ricchezze delle nazioni, e così via. In realtà la Teosofia ci insegna che tutto ciò che si manifesta esteriormente non è che il frutto di ciò che creiamo dentro di noi. La Natura è come un grande specchio, che ci restituisce quanto diamo: ogni tanto svuota il secchio e contraccambia, quale che ne sia il contenuto. Nel Theosophical Glossary, se vogliamo fare una citazione, troviamo questa frase illuminante: “La luce astrale che circonda ed interpenetra il mondo è come una sala degli specchi, che riflette in maniera intensificata le emanazioni che ha ricevuto dall’umanità”. È questa la grande opportunità delle giornate surreali che stiamo affrontando: invece di cercare fuori il colpevole, pensiamo che anche noi abbiamo contribuito a far sì che questo accadesse e quindi cerchiamo di porvi rimedio con pensieri, vibrazioni ed aspirazioni elevate, e tutto quello che di buono abbiamo dentro. Il nostro livello di coscienza può essere un aiuto davvero prezioso per tutta l’umanità. Mi piace allora riproporre un breve racconto, che certo tutti ricorderete: “Un giorno un uomo ricco consegnò un cesto di spazzatura ad un uomo povero. L’uomo povero gli sorrise e se ne andò col cesto, poi lo svuotò, lo lavò e lo riempì di fiori bellissimi. Ritornò dall’uomo ricco e glielo diede. L’uomo ricco si stupì e gli chiese: Perché mi hai donato fiori bellissimi se io ti ho dato la spazzatura? E l’uomo povero rispose: Ogni persona dà ciò che ha nel cuore”. A pochi giorni dalla Resurrezione sogno che ciascuno di noi, che ciascun essere umano, offra al mondo “ceste” di pensieri ispiranti, di riflessioni profonde, di gesti generosi, di parole che guariscono, di preghiere che elevano, di speranza per ogni essere, di fiducia nell’Assoluto e nelle sue sacre Leggi. Se poi nella cesta ci fosse anche un bell’uovo pasquale di cioccolata, sarebbe perfetto.
Patrizia Moschin Calvi
Il Tempo
Qualunque attività scandisca il nostro quotidiano in questo “particolare” periodo, facciamo – ora più che mai – del nostro tempo il Tempo. Impieghiamo questo Tempo per consapevolizzarci, conoscerci e liberarci da quelli che Bernardino del Boca avrebbe definito “virus del pensiero”. Riappropriamoci di questo Tempo per ponderare, pensare e riflettere; rivalutiamo, riconoscendo e identificando i nostri spazi, le nostre priorità verso noi stessi, verso l’altro e verso il mondo, per riscoprirci sempre studenti della vita e delle sue circostanze, dei suoi momenti e dei suoi periodi tanto turbolenti e tanto quieti, nella permanente condizione di viandanti, con cui imprimiamo giorno dopo giorno tracce, pensieri ed orme tra le complessità di questo e dei tanti Universi che a malapena immaginiamo o riteniamo di poter afferrare; torniamo a meravigliarci per la nostra piccolezza; corroboriamo le nostre forze, e dirigiamo con cura il nostro impegno verso finalità Elevate per fare del Bello e del Buono motivo di impegno sui piani della vita cui ci è concesso operare ed essere-fare la differenza; riappropriamoci del Tempo per pensarci e ripensarci, ridefinirci, ricostruendo ponti con noi stessi e col mondo, ricostituendo i nostri tessuti di una più solida e fitta trama di consapevolezze sulle tante e mutevoli forme del presente e su quale ruolo e connessione rivestano nei nostri tanti mondi interiori; torniamo a respirare, a contemplare, a chiederci “perché?”, rallentiamo per tornare ad ascoltare musica, sublime arte del colorare il Tempo; sfidiamo le nostre certezze, mettiamole sempre e costantemente alla prova, anche come semplice gioco; mettiamo a nudo ed evidenziamo i nostri limiti nutrendo profonda speranza nelle nostre altrettanto infinite potenzialità per poter procedere, domani, con maggior leggerezza e con minor bagaglio emotivo nel nostro incessante cammino; guardiamo, osserviamo, studiamo e riscopriamo nell’altro ed in noi l’Umanità quale più elevata espressione di ciò che è Bello e Buono, nell’ordinarietà e straordinarietà della Vita. Facciamo di questo tempo il Tempo.
David Berti, Presidente del Gruppo Teosofico “Umbro”
Riflessione
Passeggiando lungo il naviglio Martesana a Milano (vicinissimo a casa) ho conosciuto nuovi amici. C’è la gallinella d’acqua che sta covando le uova ed è nutrita dal compagno, c’è l’airone che controlla la situazione da par suo, pesciolini appena nati che si divertono facendosi accarezzare dalla corrente, un simpatico pappagallo che mi saluta con allegria, la magia delle foglie che prendono forma e i colori sfavillanti di una moltitudine di fiori. Mi sembra di essere tornato a migliaia di anni fa: sento il “respiro” della natura come mai mi era successo; è come se le strade, i palazzi, le macchine, come se tutto fosse scomparso e fosse rimasto solo il ciclico movimento della terra. Questo movimento non riguarda sol il nostro pianeta ma l’intero Universo. Stiamo vivendo un momento eccezionale e abbiamo la possibilità di entrare in comunione con la Vita con un’intensità senza precedenti: c’è tanto Amore sopra le nostre teste, facciamolo scendere tra noi.
Paolo Parini
Il Silenzio e le Sincronicità ai tempi del Coronavirus
Domani è Pasqua di Resurrezione e, per la prima volta – non so se nella storia però certamente nella mia ormai lunga vita-, passeremo la Pasqua rinchiusi ognuno a casa propria. Mentre la Natura prosegue imperturbabile il suo lavoro primaverile e il sole inonda di luce il tenero verde germogliante degli alberi, i glicini e i fiori che sbocciano regalando i loro colori a un pianeta quasi immobile, il Silenzio invade le città, penetra invisibile nelle strade, nei parchi vuoti e, attraverso le finestre aperte delle case, riempie i nostri corpi e le nostre anime.
E’ questa la cosa che più mi ha colpito in questo lungo mese di isolamento: il Silenzio. Un Silenzio che Papa Francesco il 27 marzo, nella Sua preghiera per la pandemia del corona virus, ha scelto come simbolo significativo di questo periodo di quarantena. Non è il Silenzio che uno potrebbe scegliere nei momenti di grande effervescenza per allontanarsi ‘dal mundanal ruido’, come direbbe il Poeta; è un Silenzio non scelto che chiama alla riflessione.
Penso che tutti ci siamo chiesti come mai è arrivata questa pandemia su tutto il pianeta, obbligando governi e popoli – volenti o nolenti – a fermarsi. Forse il corona virus è un grido esasperato di allarme di un pianeta che sta soffrendo e morendo per colpa nostra. Forse ci sta dicendo che è ora di ripensare il modo di vivere di una civiltà troppo lontana ormai dalla Natura e dal senso etico ed ecologico del vivere. Forse ci sta dicendo che, per sopravvivere al caos globale di questo momento bisogna avere la capacità di affrontare la vita in modo diverso. A questo mira il Silenzio, secondo me, a risvegliarci dall’ottusità di una quotidianità vissuta con poca consapevolezza e con scarso discernimento.
Sapremo accogliere la sfida di un tempo così difficile e così diverso dal solito? L’Apocalisse sembra essere arrivata da noi senza preavviso e tutti, scrittori, filosofi, artisti, psicologi, sociologi, musicisti, registi, e via dicendo, cercano di raccontare e interpretare il dramma che si svolge davanti ai nostri occhi. Youtube e lo smarphone, la televisione e i giornali offrono ai reclusi il godimento di opere d’arte, concerti, balletti, anche un po’ di humour, una pluralità di stimoli per ‘passare il tempo’, per uccidere il Silenzio. Ma è difficile far tacere un Silenzio che va al di là del nostro quotidiano agire, un Silenzio che arriva da lontano e dal profondo dello spazio, e trascende il ticchettio dell’orologio. Questo Silenzio parla alla nostra anima e ci invita a ricordare chi siamo e cosa siamo venuti a fare nella Terra. Forse anche a tenere presente che, nel rumore del vivere, abbiamo dimenticato il ponte che può portarci ad intensificare un elemento cruciale per il nostro Spirito: la Sincronicità.
Sono certa che ognuno di noi ha avuto esperienze sfuggevoli di Sincronicità nell’arco della propria vita. Lo psichiatra Carl Gustav Jung, che ha coniato il concetto, ha spiegato con chiarezza che la Sincronicità ci permette di identificare i fenomeni degni di attenzione che in passato potrebbero essere stati ignorati. La Sincronicità è un modo di aiutare a trascendere il fluire quotidiano degli eventi e dare la giusta attenzione a fenomeni che forse sono passati prima inosservati. Più prestiamo attenzione ai fenomeni sincronici, più essi aumentano quantità e qualità della loro manifestazione.
In un momento per forza ‘atemporale’ come questo che stiamo vivendo, in cui la percezione del tempo è rallentata, restare in stato di attesa e ricordarsi di ricordare in ogni momento chi siamo nella nostra Essenza e che ogni momento è un momento in più che la Vita ci regala e un momento in meno se non sappiamo approfittarne, è importante tenere presente che le Sincronicità ci permettono di essere guidati e forse anche protetti dai pericoli di questo momento storico, oltre a raggiungere una lucidità maggiore per capire la nostra natura spirituale e il momento che stiamo tutti vivendo.
Quindi non sarebbe male appiccicare sullo specchio del bagno o sul frigo un bigliettino per ricordarsi di creare ogni giorno l’aspettativa necessaria per richiamare alle nostre vite l’evento sincronico. Si potrebbe pensare che il Corona virus rappresenti a livello cosmico una Sincronicità inviata dal pianeta come appello drammatico per risvegliare anche tutti i governi del mondo. Comunque, la sfida per noi umani sarebbe quella di riuscire a mantenere il flusso sincronico in modo di allargare il significato nascosto nelle esperienze che trascendono il fluire quotidiano. Ora più che mai, nel momento in cui non possiamo comunicare con gli altri, possiamo capire il pensiero di Krishnamurti che ci ricorda che l’uomo è un essere in relazione, e che ogni conversazione con gli altri è uno scambio di visioni del mondo che permette il procedere dell’evoluzione umana. E’ l’essere in relazione che consente il passaggio da una fase storica della conoscenza a quella successiva. E quando l’interazione tra essere umani è centrata sulle verità sincroniche, il processo delle rispettive visioni del mondo dovrebbe essere in grado di accrescere la nostra consapevolezza.
Per questo motivo, speriamo che questa Pasqua di Resurrezione così diversa per tutti, che ci spinge a valutare i momenti di riflessione obbligata, ci permetta di ricordare che, per provocare il dovuto cambiamento interiore che permetta al mondo di prendere una piega diversa , meno materialistica e più a favore del dono e dell’attenzione ‘ai santi della porta accanto’, come ha detto Papa Francesco, ci vuole un’attenzione speciale alle Sincronicità che possiamo ricevere dallo Spirito, se Esso sente che siamo all’erta per riceverle.
Qualcuno ha ipotizzato che noi saremmo il virus e il virus sarebbe una reazione immunitaria del pianeta contro di noi. Forse ha ragione. In questo momento, attraverso i consigli forniti dalla tv, dalla rete, dai video inviati dalla gente amica, la nostra mente è ‘colonizzata’ dal virus, ed è un’incognita il modo in cui affronteremo il ritorno alla normalità, a una socialità che per forza non potrà essere la stessa di prima. Ma proviamo ad accettare questa nuova forma di stare nel mondo con spirito creativo e a pensare che lo Spirito ci pensa attraverso il richiamo ad essere diversi, meno superficiali e più aperti ai momenti di Sincronicità che Esso può farci arrivare per creare un mondo migliore. Un mondo dove il Silenzio non sia più obbligato dagli eventi esterni bensì scaturito dalla sacralità della Vita Una. Se riusciamo a modificare anche solo per un po’ le nostre vite, il ché vuol dire modificare anche il mondo che ci circonda, il Corona Virus non sarà venuto in vano.
Graziella Ricci
Pasqua: Miti, Leggende ed Esoterismo della Seconda Nascita
Molti sono gli studiosi dell’argomento che tratterò in questa mia relazione. Ognuno di essi ha fatto degli approfondimenti con studi storici circonstanziati. Ne anticipo i nomi per un giusto riconoscimento senza ripetermi ogni volta: Frazer, Depuis, Lang, Barth, il teosofo Williamson, Taylor. Attorno al tema centrale di un uomo divino, alla sua nascita, morte e resurrezione, convergono le dottrine di tutte le religioni. È interessante notare che la morte, comunque avvenuta, viene considerata generalmente come un sacrificio. Leggendo con attenzione il Vecchio Testamento si è colpiti dal fatto che non ne viene mai adeguatamente e razionalmente spiegata l’origine; sembra parte essenziale della religione, fatto universalmente riconosciuto. Anche nell’India antica si insisteva sulla necessità del sacrificio: il sacrificio fa sorgere e tramontare il sole, scorrere i fiumi in una o in un’altra direzione. In uno dei Veda, nel Tandy Brahmana, si legge: “Il Signore delle creature offrì se stesso in sacrificio agli dei”. Sottolineiamo subito che la Teosofia ci insegna una serena partecipazione all’evoluzione della natura accettando il dolore come espressione necessaria del karma. Il primo sacrificio sarebbe la Creazione del mondo. L’idea di questa creazione, o di parte di essa, dai frammenti di un essere antropomorfo è comune ai Caldei, agli Egizi, ai Greci e all’India antica. Il dio di ebrei e cristiani ha addirittura soffiato l’anima in un corpo di creta. Religioni più antiche hanno immagini più crude con mescolanze di sangue divino o con divinità decapitate. Queste leggende non sono scienza ma ci aiutano a capire la necessità di continuare le ricerche partendo da dove sono nate queste immagini per arrivare alla vera interpretazione. La verità, anche in leggende selvagge che sono solo forme pervertite della verità stessa, può essere intravista nelle leggende stesse: l’uomo, gli animali, tutti i regni della natura, hanno in sé una parte dell’essenza divina. Un altro aspetto che emerge è l’idea del sacrificio e che tutti i peccati accumulati da un popolo possono essere messi a carico del dio morente lasciando il popolo purificato e felice. Questo concetto di morte volontaria della vittima divina “che l’uomo dio muoia per il suo popolo e che la sua morte sia la vita del popolo stesso” è presente fin dai tempi antichi e lo vediamo anche nel Cristianesimo con il Redentore che dona se stesso. Nel Solstizio d’inverno, qualunque sia il nome dato agli dei, c’è sempre un concepimento immacolato e la data indica chiaramente l’origine solare del mito stesso. Altre somiglianze che andremo a individuare in riferimento alla morte e alla resurrezione del Dio, ci faranno capire che siamo in presenza di un mito mondiale, caratteristica comune di tutti i popoli sin dalle origini della razza umana e uno degli archetipi junghiani. Questa mitologia solare, necessaria per un insegnamento exoterico, era però solo un’espressione riduttiva di un più antico simbolismo cosmico esoterico al quale se ne aggiungeva un altro rappresentato dai riti di iniziazione. Si intrecciava quindi un simbolismo esoterico con quello solare exoterico e questo simbolismo si riferiva agli insegnamenti e alle cerimonie collegate all’equinozio di primavera.
L’intreccio esoterico-exoterico si vede anche nel fatto che viene assegnata la data dell’equinozio di primavera alla morte e alla resurrezione di un dio o l’uomo divino. Per il simbolismo solare sarebbe stato più appropriato commemorare la morte di un dio solare, per esempio nell’equinozio di autunno. Cercheremo quindi di enumerare le somiglianze esistenti nelle antiche religioni prima di parlare della seconda nascita. Vi sono strette somiglianze tra la storia della nascita e della vita di Krishna, il salvatore indù, e Cristo oltre che un parallelismo nella loro morte. È superfluo osservare che probabilmente nessuno dei salvatori del mondo morì veramente sulla croce, elemento sacro e simbolico alla base di queste immagini di morte. Krishna in questo senso può sembrare un’eccezione, in quanto venne ucciso dalla freccia di un cacciatore mentre era in meditazione sotto un albero. Ma il parallelismo riprende dopo la morte, quando viene rappresentato come disceso agli inferi, risorto e salito in cielo. Anche Visnù, chiamato Wittoba in un’altra reincarnazione, viene rappresentato crocefisso su una croce latina e, seppur non inchiodato, si intravvedono le stigmate dei chiodi, un foro nel costato e sulla testa una corona fatta a punta. La croce è un simbolo antico mentre la rappresentazione con le stigmate dei chiodi è posteriore. La forma più antica della croce è la figura del dio nella volta celeste con le braccia aperte in atto di benedizione. In quasi tutte le religioni il dio ucciso resuscita dalla morte o si reincarna immediatamente. Nell’antico Egitto Osiride viene ucciso dal suo nemico Tifone, il serpente del male che, a sua volta, viene distrutto da Oro, figlio e reincarnazione immediata di Osiride. Osiride diventa allora “signore della vita al di là della tomba e giudice di tutte le anime”. Come Osiride è il sole che tramonta, come Oro il sole che nasce. Sia Osiride sia Oro vengono rappresentati anche crocifissi con le braccia aperte nella volta del cielo. Come Osiride/Oro viene ucciso nella lotta con il serpente, ma resuscita come Oro/Osiride, per distruggere il serpente e regnare sul mondo della morte (del male!) così Gesù è messo a morte e resuscita per vincere il male. Osiride discende nel mondo dei morti, Cristo nell’Averno. Osiride diventa giudice delle anime, Cristo giudice dei vivi e dei morti. Tammuz/Adone in Babilonia e in Siria fu un altro salvatore. La sua morte era commemorata ogni anno ed egli veniva pianto come morto per tre giorni, poi risorgeva. Sembra che la data fosse il 25 marzo. I sacerdoti raccomandavano di aver fede nel Signore perché le sue pene avevano procurato la loro salvezza. A queste parole il popolo rispondeva: “Omaggio alla colomba che restituisce la pace”. È questo un primo riferimento alla colomba pasquale? Il culto di Adone veniva praticato anche dai popoli semiti della Siria; da qui i Greci lo introdussero in patria verso il V secolo a.C. Nella Fenicia sempre Adone (Adon significa Signore) veniva fatto morire e resuscitare in date diverse nelle diverse città, ma sempre in concomitanza con l’equinozio di primavera. A Biblo questa data veniva determinata quando il fiume Adonis assumeva un colore rosso, dovuto alla terra rossa trasportata dalle montagne con la pioggia, ma attribuito al sangue di Adone. Similmente in Siria si attribuiva, sempre in periodo pasquale, al sangue di Adone il colore dell’anemone in quel periodo. A Mitra, il salvatore persiano, era dedicata una festa della morte all’equinozio di primavera. Era nato in dicembre e in occasione della sua morte aveva una tomba sulla quale i discepoli si recavano a piangere.
Alla fine delle cerimonie funebri, sempre in periodo pasquale, i sacerdoti pronunciavano queste parole: “Rallegratevi, il vostro Dio è risorto dalla morte, le sue pene e le sue sofferenze saranno la vostra salvezza”. In concomitanza di queste celebrazioni c’erano 40 giorni di sacrifici e preghiere (la Quaresima cristiana?). Anche Prometeo fu un salvatore, anch’egli fu crocifisso. Considerato amico della razza umana, per la quale si sacrificò, secondo Eschilo venne inchiodato con le braccia distese sul monte Caucaso vicino al mar Caspio. Il dio Ati, adorato nella Frigia e chiamato “figlio unigenito e salvatore”, veniva rappresentato come un uomo legato a un albero con un agnello ai piedi e, in primavera, venivano commemorate la sua morte e la sua resurrezione. Bacco, altro dio solare, veniva messo a morte dai Titani e, come Osiride, tagliato a pezzi. Dopo un sonno di tre giorni nell’Ade, Giove ne rianimava il corpo e Pallade (non a caso la Sapienza!) gli riportava il cuore. La data sembrerebbe corrispondere al 25 marzo. Nel nord Europa Baldur, il dio bianco, muore, come Krishna, ucciso da una freccia di legno di vischio scoccata dal dio delle tenebre e rimane esanime per 40 giorni. Nell’antica fede celtica Baal è il dio della vita nell’oltretomba. Giudica e protegge le anime dei morti; anch’egli sembra morto e risorto dopo tre giorni diventando il signore della morte. In Sudamerica tra gli antichi popoli dello Yucatan il Salvatore era conosciuto con il nome di Bacab e, come Cristo, considerato quale seconda persona di una trinità. Viene rappresentato flagellato e coronato di spine, prima di essere messo con le braccia aperte su una trave di legno in una posizione simile al Crocefisso. Rimase morto per tre giorni e resuscitò per salire al cielo (siamo prima della scoperta dell’America!). In Messico il dio Quetzalcoatl fu crocifisso su una trave di legno con le braccia distese ucciso, si diceva, per l’ingratitudine di coloro che era venuto a salvare. A questo proposito Williamson, il nostro teosofo, cita banalmente “I manoscritti borgianici”, parlando di pitture messicane e di Bacab e Quetzalcoatl con le immagini della crocifissione. Evidentemente si era documentato nelle Biblioteche Vaticane. Noi dei Borgia conosciamo lotte per il potere e perversioni sessuali. Bisogna però aggiungere anche che il cardinale Stefano Borgia spese buona parte del patrimonio di famiglia per comperare manoscritti dal VI al XII secolo, forse prevalentemente per fare valutazioni sul Nuovo Testamento, ma acquistando anche quelle pitture messicane alle quali fa riferimento Williamson, come il Dio crocifisso, con segni di chiodi a mani e piedi, alla discesa all’inferno e alla resurrezione. Quetzacoatl era stato però ucciso con una freccia (come Krishna e Baldur) e le celebrazioni si tenevano sempre durante l’equinozio di primavera. Facciamo a questo punto alcune osservazioni sul simbolo della croce. Nell’arte cristiana per sei secoli manca l’immagine del Redentore crocifisso. La prima conosciuta è il crocifisso presentato da papa Gregorio Magno alla regina Teodolinda, conservato ora nella chiesa di San Giovanni a Monza. Anche nelle catacombe romane non si trovano immagini di crocifissione anteriori a quelle di san Giulio (VII/VIII secolo). La rappresentazione più antica di Gesù era l’agnello. Il simbolo della croce è antecedente di migliaia di anni alla nascita di Cristo ed era onorato in tutto il mondo conosciuto. In Egitto
essa era presente nelle mani della maggior parte delle statue divine, in India appariva scolpita sopra maestosi santuari. In tutte le sacre scritture la ritroviamo per lo più in forma di svastica. Sulle tombe egizie era un segno di rinascita, di vita attraverso la morte. In età successive fu portata dalle vergini Vestali romane e l’ansa con l’andar del tempo scomparve, passando così dalla svastica alla croce. Il sacro Tau, o croce ansata, era un emblema di Osiride, veniva chiamato “il segno della vita” e posto sul cuore come un amuleto: simboleggiava l’idea che nessuna cosa creata poteva essere distrutta e che morire significava soltanto assumere un’altra forma. Anche nel cristianesimo iniziale sembra aver avuto il significato di albero della vita e solo in seguito divenne simbolo di morte. Ma Roma e la cristianità, l’India e l’Egitto non sono stati i soli a venerare la croce. Si racconta che i Druidi tagliassero i rami laterali degli alberi e inchiodassero una trave in croce, intagliando sulla corteccia il Tao simbolo di vita. Anche tra le tribù indiane d’America si trovano croci fatte con alberi e nel Messico se ne scoprirono di gigantesche in pietra, simili ma molto più grandi di quelle della Scozia e dell’Irlanda. Anche in Messico la croce veniva chiamata “albero di vita”. Nella sua forma maltese in Babilonia, con la sua divinità Baal, la croce era il simbolo di Anu. Altri esempi: Cortez, arrivando nello Yucatan, trovò croci di pietra nel tempio del Dio del sole e della pioggia; sulle rovine di Palanque sopra la croce è posta una figura umana; persino sull’isola di Pasqua si trovarono croci scolpite sulle statue arcaiche; Schliemann durante la sua ricerca di Troia trovò delle croci; i templi-caverne di Ellora ed Elefanta, in Egitto, venivano scavati nella roccia in forma di croce e la stessa forma la troviamo anche nei templi di Benares in India. Le primitive croci buddhiste hanno foglie e fiori che spuntano dalle loro estremità, sottolineando così il concetto di donatori di vita. Sembra ormai provato che la croce debba essere riconosciuta tra i simboli più antichi della razza umana, da inserire negli archetipi junghiani. Riassumendo alcune delle più importanti rassomiglianze sulla morte e resurrezione del dio troviamo che Krishna, Osiride, Tamuz-Adone, Mitra, Api, Bacco, Dionisio, Baldur, Queatzcoatl e Gesù discendono tutti nelle regioni infernali e il periodo tra morte resurrezione è generalmente di tre giorni; la resurrezione avviene di regola all’equinozio di primavera o a pochi giorni di distanza. Miti, leggende e rituali religiosi hanno tutti un’origine comune: sono l’espressione simbolica di una ricerca della verità che accompagna l’uomo dalle origini e che ha avuto in tutti i tempi la sua espressione pratica negli studi esoterici e nei riti di iniziazione riservati a coloro che in tali studi avevano compiuti progressi reali ed erano quindi pronti per “la Seconda Nascita”. L’espressione “Seconda Nascita” può essere usato adeguatamente tanto per la prima quanto per l’ultima di tutte le iniziazioni. Queste cerimonie infatti, prese singolarmente o tutte assieme, possono essere chiamate “una Nuova Nascita” in quanto segnano l’ingresso in una nuova vita. Ogni progresso porta all’iniziazione successiva : sempre morte e rinascita. Solo la Teosofia offre una visione più ampia e dettagliata di quello che possiamo trovare nei testi esoterici delle filosofie orientali su questi diversi stati di coscienza che, quando raggiunti, aprono all’uomo nuovi orizzonti mentali e spirituali permettendogli di essere
sulla strada che porta al ricongiungimento con l’Uno, realtà che tutti dovranno raggiungere. Rimane l’obbligo di aiutare i fratelli più deboli per chi arriva prima, avendo raggiunto la completa coscienza dell’evoluzione spirituale inserita nelle leggi della natura. La storia dell’iniziazione è prima di tutto la storia del progresso dell’uomo verso la perfezione morale e questa deve essere raggiunta prima di poter passare all’ultima grande iniziazione : ogni rito è soltanto il segno, il suggello del progresso morale e spirituale conseguito per mezzo degli sforzi e delle lotte individuali. A uno dei primi stadi l’aspirante si trova costretto (noi oggi sappiamo che questo vale per ciascuno di noi dal momento in cui decide di percorrere la strada di un’evoluzione spirituale) a capire che non solo la coscienza connessa alla personalità è soltanto pura illusione, ma anche che l’individualità non può avere nessun interesse opposto a quello dei fratelli e che il vero progresso è legato all’aiutare il progresso degli altri. Fin dall’inizio per l’iniziato il movente delle sue azioni è destinato a diventare, seppur gradualmente e lentamente, sempre più una simpatia universale che nel tempo si trasformerà nel’amore che spinge ad aiutare coloro che sono in ritardo. All’iniziato del primo grado si insegna a vivere e a lavorare per gli altri, ad ampliare il più possibile la simpatia e l’amore per il prossimo. Non possiamo non vedere in questo l’importanza della fratellanza universale per il teosofo, anche se non ha ancora raggiunto lo sviluppo spirituale corrispondente al primo livello d’iniziazione. Quando, con il passare del tempo, l’iniziato avanza nella propria strada, questa simpatia diventa così intensa che, come viene detto nel Libro tibetano dei morti “il suo cuore è in ogni ferita”. Questo significa portare in sé i peccati e i dolori del mondo. Nella strada dell’iniziato a ogni sforzo si allargano i campi in cui egli può rendersi utile; a ogni gradino del sentiero egli acquista maggiori poteri per aiutare. Questo fino all’ultima iniziazione dove è in grado di spalancare le porte dell’iniziazione a chi ha aperto sufficientemente la propria mente nella strada dell’evoluzione spirituale. Nella rassomiglianza e talora nelle sovrapposizioni delle diverse religioni, nei riti e nei dogmi che abbiamo visto negli Egizi, Indiani, Messicani, Peruviani, Cristiani ecc. è evidente che questi erano solo raffigurazioni di una realtà comune, destinati a rappresentare lo sviluppo dell’animo umano, il progresso dell’umanità e le verità cosmiche ed eterne. Tale pervertimento del significato reale non avrebbe mai potuto aver luogo nell’ambito dei riti iniziatici, poiché tutti coloro che avevano il privilegio di partecipare a tali cerimonie erano ovviamente a conoscenza dei fatti che si nascondevano dietro alle immagini simboliche. Sono state evidentemente le religioni con la loro tendenza materializzante e indirizzate a tenere uniti uomini senza conoscenze specifiche ad aver contribuito alla confusione tra realtà esoteriche ed exoteriche, confusione forse voluta proprio dalle gerarchie religiose probabilmente per ambizioni di potere. La descrizione di un rito praticato in Egitto permette di capire il significato reale del concetto di morte, sepoltura e resurrezione. L’aspirante all’iniziazione, dopo aver superato le prove e le sofferenze necessarie alla purificazione, che servivano per simbolizzare il successo della lotta contro gli impulsi della sua natura inferiore, veniva ricevuto dallo Ierofante in mezzo al consesso degli iniziati e indotto in uno stato di trance profonda. Passava così nell’Ade dove doveva lottare con l’ultimo nemico (la morte).
La Teosofia ci spiega che, in altre parole, doveva acquisire l’esperienza necessaria per esprimersi in questo nuovo stato di coscienza vibratoria. Passava cioè attraverso ciò che nel rito egizio si chiamava “la prova della terra, dell’acqua, del fuoco e dell’aria”. Una spiegazione più completa la troviamo nel libro di Leadbeather sulla Massoneria, riferito in parte a una sua vita precedente in Egitto. L’iniziazione avveniva generalmente in un tempio sotterraneo o in una piramide, dove la luce del sole non arrivava. Al mattino del quarto giorno, quando il candidato doveva ritornare alla vita fisica, il suo corpo, ancora inanimato, veniva portato all’ingresso dove il primo raggio del sole nascente, simbolo dell’illuminazione spirituale della sua anima, rischiarava il suo volto mentre era ancora in stato di trance. Egli allora si svegliava e “risorgeva dalla morte” non più come “uomo fisico” ma come “uomo spirituale”. Il rito si celebrava nel giorno del plenilunio dopo l’equinozio di primavera probabilmente per ragioni connesse anche con l’aumento di energia vitale proveniente dai raggi del sole in questo periodo dell’anno e al loro supposto speciale potere in quanto riflessi dalla luna piena. I Cristiani celebrano la Pasqua la domenica seguente al plenilunio dopo l’equinozio di primavera, anche se nel rituale cristiano i tre giorni si riducono al tempo intercorso tra la sera del venerdì e la mattina della domenica. Queste dunque le origini di tutta la teoria sulla morte, sepoltura e resurrezione di un Salvatore, in pratica la storia del progresso dell’anima, la storia del trionfo del peccato sulla morte per un uomo e per tutti i suoi simili ripetuta in ogni epoca dal passato al presente.
Diego Fayenz